Descrizione

La città di Alvise Mocenigo offre oggi al turista, che vuole raggiungere i principali centri balneari della zona, numerosi spunti per una visita ricca di fascino e di ricordi della presenza veneziana nell’entroterra veneto.

Facilmente raggiungibile da ogni direzione, Alvisopoli si sviluppa lungo la strada provinciale n. 73 che si apre, nel centro del paese, con uno slargo di via Mocenigo. È questo il luogo più adatto per iniziare la visita alla frazione, ed anche il punto di vista più affascinante per avere una visione completa del complesso che costituisce la villa padronale settecentesca dei Mocenigo. Dopo aver superato il cancello principale d’ingresso, che attraversa un canale artificiale perimetrale, si apre alla vista del visitatore un’ampia aia scoperta, vero centro della vita contadina del luogo e sede dei principali avvenimenti pubblici della comunità. Essa è chiusa sul fondo da due barchesse porticate, divise da un cancello di ferro battuto che dà accesso ad un suggestivo cortile alberato, oggi sede di prestigiose rappresentazioni teatrali estive. La villa, in stile seicentesco, fu progettata dall’architetto Balestra e rimase di proprietà della famiglia Mocenigo fino alla vigilia della prima guerra mondiale, passando poi ai Mayer di Trieste, ai Sinigallia e ai Gandolfi. Oggi il complesso è di proprietà dell’ATER che, dopo un radicale restauro architettonico, lo ha attualmente adibito a residenza privata. Ritornando all’ingresso del complesso, si può notare come lo Palazzo dell’Amministrazione Mocenigo, sec XVIII slargo sia chiuso a destra dal palazzo dell’Amministrazione, coronato da un orologio e da una vela con campana. Alla sinistra dell’ingresso s’innalza l’alta costruzione della pila per il riso, alimentata dalla forza motrice di una ruota posta su un canaletto artificiale ed ora in disuso. Gli edifici che chiudono ad ovest lo slargo dovevano ospitare una tipografia, sorta per volere del nobile veneziano nel 1810 e trasportata in Venezia nel 1814, dove rimase attiva fino al 1852.

Proseguendo lungo la strada provinciale in direzione di San Michele al Tagliamento s’incontra subito una strada laterale, via Ai Mulini. Affiancata da una serie di caratteristiche case contadine, essa conduce alla chiesa di San Luigi e all’entrata del parco naturalistico gestito dal W.W.F.. Lasciata l’entrata del parco, la strada si trasforma in un viottolo campestre che conduce al mulino sul fiume Taglio, costruzione caratterizzata da alte merlature, oggi in precario stato di conservazione.

Ritornando agli inizi di via Ai Mulini è possibile vedere una lunga fila di piccole case che costeggiano la strada provinciale. Costruite per dare una sede dignitosa ai contadini, esse rappresentano un interessante esempio di “case a schiera” ante litteram che si integrano perfettamente nel progetto urbanistico di Alvise Mocenigo.

 

Cenni storici

Pur essendo attraversata da un’importante asse stradale d’epoca romana che collegava la parte meridionale del territorio concordiese con Quadrivium (l’attuale Codroipo), Alvisopoli è meglio conosciuta per la trasformazione urbanistica portata a termine nell’Ottocento dal conte Alvise Mocenigo. I Mocenigo, della casa di San Samuele, erano una delle famiglie più importanti e illustri della Serenissima, che nel Seicento avevano qui acquistato un vasto latifondo con un piccolo centro rurale chiamato “Il Molinat”. Nelle intenzioni del nobile veneziano, il piccolo centro doveva ben presto trasformarsi in una “città ideale”, che doveva portare il suo nome. Egli però non ideò Alvisopoli come una “copia” di altre grandi proprietà terriere, ma volle costruire qualcosa di estremamente nuovo, senza alcun precedente per i criteri con cui la impostò: immaginò un complesso autosufficiente, una polis, dotata di tutte quelle risorse di cui una comunità media ha bisogno. Alle naturali prevalenti risorse d’agricoltura Mocenigo si preoccupò di affiancare un impegno “industriale” che andava dalla filatura alla tessitura, cercando di utilizzare fibre vegetali coltivate in loco. Furono anche introdotte in modo sperimentale la barbabietola e il riso, coltivato con la tecnica delle risaie piemontesi. L’alternanza tra aree umide e terreni asciutti, che aveva caratterizzato prima della trasformazione fondiaria i terreni prevalentemente paludosi di La Villa Mocenigo Alvisopoli, venne regolamentata da una fitta rete di canali di scolo che, dopo circa due secoli, è rimasta pressoché immutata e mantenuta attiva dal locale Consorzio di Bonifica. Anche il piccolo borgo rurale fu radicalmente trasformato dal punto di vista urbanistico: Alvise Mocenigo pianificò, infatti, la costruzione di numerosi fabbricati sia di carattere produttivo che residenziale: le grandi barchesse, la pila per il riso, una fornace per laterizi, il mulino, oltre alle caratteristiche basse case per i contadini che si possono tutt’oggi vedere lungo la strada che conduce a San Michele al Tagliamento. Oltre a tutto ciò, il suo progetto costituisce anche uno dei pochi esempi in cui il concetto utilitaristico della valorizzazione dei propri terreni sia stato nobilitato ed integrato da iniziative culturali di altissimo livello. Si deve al Mocenigo, infatti, la costruzione di una rinomata tipografia che lavorò qui fino al 1814, per essere poi trasferita a Venezia. In seno a quest’ambiente culturale e grazie al mecenatismo del nobile veneziano, Alvisopoli può vantare tra i suoi concittadini il famoso incisore Antonio Locatelli. Figlio del fattore di Alvisopoli e avviato agli studi dallo stesso Alvise, il Locatelli è famoso per aver iniziato la propria carriera artistica con un ritratto di Napoleone e Maria Luisa d’ Austria, consegnato all’imperatore proprio dal Mocenigo.

 

Chiesa di San Luigi

Posta a metà di via Ai Molini, la chiesa di Alvisopoli si presenta oggi al visitatore con la sua facciata neoclassica, ma è ormai certo che l’aspetto attuale a tre piccole navate con sfrondi laterali è il risultato di diversi ed importanti interventi realizzati dalla famiglia Mocenigo nel periodo della loro presenza in queste terre. L’impianto originario, fatto costruire nel 1720 da Antonio Mocenigo, era un piccolo tempio ad una navata con orientamento canonico, le cui fondamenta sono venute alla luce nel corso dei recenti interventi di restauro dell’edificio. Questa struttura doveva però avere carattere temporaneo, in quanto era intenzione di Alvise Mocenigo di erigere una grande chiesa al termine dell’attuale via Ai Molini. Tale proposito non trovò seguito a causa di problemi di natura economica e, dal 1805, Alvise Mocenigo diede quindi inizio ad alcuni importanti lavori di ampliamento del primitivo edificio sacro, avvalendosi dei consigli dell’architetto Balestra e del famoso scultore Antonio Canova. L’aspetto attuale della chiesa si deve alla volontà di Lucia Memmo, moglie di Alvise, che, nel 1843 volle la costruzione del coro, delle due navate laterali, provvide agli arredi sacri e traslò qui importanti opere Madonna del Latte, olio su tela del XVII secolo. d’arte dall’oratorio di San Pietro in Ca’ Memo di Cendon di Treviso. Fra queste spiccano per bellezza i due angeli marmorei, ora situati specularmente ai lati del coro e recentemente attribuiti al fiammingo Giusto Le Court. Solo nel 1881, con l’erezione delle due nicchie laterali, la chiesa assunse le dimensioni attuali. Autentico scrigno d’interessanti opere d’arte, la chiesa di San Luigi raccoglie oggi al suo interno gli originali banchi intagliati con lo stemma dei Memmo, il seicentesco tronetto ligneo con la statua di Sant’Antonio, il bellissimo cotto Cristo nell’Orto degli Ulivi, il piccolo dipinto su marmo raffigurante La Crocifissione e le stazioni della Via Crucis, incisioni di scuola romana datate 1782. All’esterno della chiesa si alza il campanile eretto nel 1907 su disegno dell’architetto Piccolo ad imitazione del campanile di Torcello. La piccola chiesa ospita anche le spoglie di numerosi componenti della famiglia Mocenigo, come risulta dalle lastre tombali presenti ai piedi del coro. Alla periferia di Alvisopoli, lungo la strada provinciale che conduce a Fossalta, si incontra sulla destra uno spazio erboso dove si trova un piccolo oratorio dedicato a San Biagio. Esso era, in realtà, un edificio molto più grande e di antichissima costruzione. La tradizione locale vuole che la chiesa di San Biagio fosse la più antica tra quelle erette nel territorio fossaltese e che sia stata utilizzata a lungo come chiesa parrocchiale al posto di quella del capoluogo. Il culto di San Biagio portò qui numerosi pellegrini e la chiesa fu sempre al centro di una forte devozione popolare. Dai documenti d’archivio sappiamo che essa ospitò nel ‘400 gli artisti che erano impegnati nella decorazione della chiesa di San Zenone di Fossalta, ma del loro passaggio l’oratorio non conserva oggi più nessuna traccia. L’edificio, infatti, fu in larga parte demolito nel 1787, con lo scopo di riutilizzare il materiale edilizio “con l’obbligo preciso di passare quei materiali nella fabbrica del campanile tanto desiderato da tutto il popolo”. Chiesetta di San Biagio

 

Il Parco della Villa Mocenigo

Parte integrante dell’ambizioso progetto urbanistico di Alvise Mocenigo e perfettamente in linea con le idee illuministiche del tempo, il parco di Villa Mocenigo è un residuo di bosco planiziario di pianura, trasformato dal nobile Alvise in un giardino alla moda con l’introduzione di specie esotiche, lo scavo di canali, l’apertura di una serie di sentieri delimitati da siepi di bosco. Il complesso è rimasto per alcuni decenni in uno stato di completo abbandono che ha permesso alle specie arboree spontanee di riprendere il sopravvento, per cui ora ci si trova in presenza di una formazione vegetale che non differisce molto dai tipici boschi umidi della pianura padana. Il parco di Villa Mocenigo ha un’estensione di circa 3.5 ettari e presenta grossomodo la forma di un quadrilatero. Al tempo di Alvise vennero compiuti dei lavori di scavo con la creazione di una serie di movimenti d’acqua e con la realizzazione di un laghetto centrale. I lavori eseguiti permisero di disporre di materiale di riporto che venne utilizzato per creare tre aree sopraelevate sulle quali fu posto un albero diverso: un leccio, un platano e un tasso. Un ulteriore aspetto che dimostra chiaramente l’intervento antropico subito dall’area è la presenza di specie arboree estranee all’ambiente e quindi sicuramente introdotte, tra le quali l’ippocastano, l’ailanto, l’acero negundo e l’albero di Giuda. A ciò si deve aggiungere l’esistenza di circa 2 km di sentieri opportunamente tracciati, i principali dei quali risultano ancora delimitati da piante di bosso e completati da ponticelli in legno. Nonostante tutti questi interventi possano far pensare alla completa origine artificiale del parco, altri fattori attestano come si tratti in realtà di una parziale trasformazione subita da una formazione boscata preesistente. Il numero di esemplari arborei introdotti è infatti abbastanza limitato e la maggior parte della superficie è occupata da specie spontanee, tipiche dei boschi umidi di pianura, quali ad esempio l’olmo comune, il carpino bianco, l’acero campestre e la farnia, alberi che raggiungono altezze di 20 metri e diametri di 80 cm. A sostegno di tale ipotesi concorrono la notevole densità degli alberi, la presenza di una naturale rinnovazione rigogliosa su un terreno di notevole fertilità, l’esistenza di un sottobosco composto dalle stesse specie che si rinvengono negli ultimi lembi di bosco planiziario della pianura padana: Pervinca minore, Paleo silvestre, Sigillo di Salomone maggiore, Viola silvestre, Aglio orsino. La flora è rappresentata da numerose piante variopinte che nelle diverse stagioni colorano il parco. In primavera le bianche anemoni ricoprono vasta parte del tappeto erbaceo assieme all’aglio orsino dall’odore pungente, alle viole, alla primula, ad un’orchidea poco appariscente quale la listera maggiore dalle grandi foglie basali e al sigillo di Salomone con fiori biancogiallastri dalla forma a campanella. Lo strato erbaceo è costituito soprattutto dall’edera, da una graminacea, il paleo silvestre, e dal carice delle selve. Anche gli arbusti contribuiscono a ravvivare il parco con i loro colori: il biancospino e il ligustro dai fiori bianchi, così come il corniolo sanguinello, la berretta da prete e i viburni. Questi arbusti producono anche dei frutti colorati, rossi o neri. Particolarmente interessante è il dafne mezereo o fior di stecco, che all’inizio della primavera emette direttamente sul fusto, prima dello spuntare delle foglie, dei bellissimi fiori rosa. Anche le piante lianose arricchiscono l’ambiente: la clematide dai fiori bianchi molto vistosi, il tamaro, che pur producendo fiori quasi insignificanti, presenta frutti di un colore rosso vivo, e i rovi dai frutti saporiti. In maggio spiccano i grappoli gialli del bellissimo maggiociondolo, i fiori bianchi dei frassini e quelli porpora dell’introdotto albero di Giuda. In piena estate il laghetto centrale è ricoperto dai candidi e vistosi fiori delle ninfee. Nel parco si rinvengono soprattutto uccelli che vi si concentrano in seguito all’abbandono della campagna ormai del tutto inospitale nei confronti di ogni essere vivente. A seconda delle stagioni si possono osservare moltissime specie diverse. Il pettirosso e lo scricciolo, frequentatori invernali, sono presenti assieme al merlo, al fringuello, al verdone e al cardellino. È possibile sentire il caratteristico rumore dei picchi o il verso del cuculo; vedere un uccello di medie dimensioni dal piumaggio completamente giallo, qual è il rigogolo, oppure osservare la gallinella d’acqua. Spesso riecheggia il gracchiare di corvidi come la gazza, la ghiandaia o la cornacchia grigia. In estate è possibile scorgere uno strano airone appostato su qualche albero nei pressi del laghetto centrale in attesa della preda: si tratta della nitticora dal piumaggio bianco e nero. Si riscontrano inoltre altre due specie di aironi quali la garzetta e l’airone bianco maggiore, che nel periodo invernale trascorre la notte nel bosco. Tra gli alberi sono osservabili anche le cince e il picchio muratore, che utilizza i buchi scavati dai picchi per costruire il suo nido. Per quanto riguarda gli anfibi si segnala la presenza della rana di Lataste. La presenza di questa rana è molto significativa in quanto si tratta di una specie considerata in via di estinzione, specie che vive solo negli ultimi boschi della pianura padana. Nel laghetto del bosco trovano un ambiente ideale anche la tartaruga d’acqua, la biscia d’acqua e numerosi pesci come il luccio, l’anguilla, la carpa e la trota.

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